Home Page Usa un carattere più piccolo Usa un carattere più grande

Videosorveglianza e lavoro: un rapporto difficile

La Corte di Cassazione, sez. Penale, con la sentenza n. 20722 del 2010, è tornata sul delicato tema della videosorveglianza sui luoghi di lavoro. In particolare, il supremo collegio si è soffermato sul rapporto tra difesa del patrimonio aziendale e la riservatezza del lavoratore in occasione dell'esercizio della propria mansione lavorativa minacciata appunto dalle riprese di videocamere. Il tema non è di poco conto, sia a livello sostanziale che processuale. Infatti da un lato a presidiare la riservatezza del lavoratore c'è lo statuto dei Lavoratori (art. 4, Legge 300/1973) dall'altro c'è il problema di utilizzazione del materiale probatorio acquisito mediante il sistema di videosorveglianza installato, per così dire, clandestinamente.

Il tutto ruota intorno al cosiddetto bilanciamento di interessi e sul concetto, più volte ribadito dalla giurisprudenza, dei “controlli difensivi”. Infatti, se da un lato il lavoratore è tutelato dai controlli sistematici, anche telematici, predisposti dal datore di lavoro sulla base dell'art. 4 dello statuto dei lavoratori che impone una procedura di valutazione preventiva da parte delle rappresentanze sindacali (allo scopo serve un accordo tra datore e le rappresentanze) o, in assenza di queste o di mancato accordo, di un'autorizzazione specifica da parte dell'Ispettorato del lavoro, dall'altro vi è sempre un interesse del datore di lavoro a che la mansione lavorativa si svolta con fedeltà senza pregiudizio per l'azienda.

Il fatto riguardava una cassiera che in più occasioni provvedeva a intascarsi i soldi prelevati dal registratore di cassa. Ebbene, in tal caso il controllo posto in essere dal datore di lavoro esula dalla previsione dell'art. 4 dello statuto dei lavoratori in quanto non sussistono le esigenze ivi previste e il controllo non si riferisce all'attività lavorativa in senso stesso. Cosa rileva, al contrario, è l'interesse alla protezione del patrimonio dell'azienda, in questo caso superiore rispetto alla riservatezza del lavoratore infedele. Il supremo collegio, quindi, riconosce la legittimità dei “controlli difensivi” nell'ambito del rapporto di lavoro nel senso che: “Ai fini dell’operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 4, è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l’attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dell’ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore”.

E l'attività fraudolenta del lavoratore nell'esercizio della propria mansione non rientra certo nel concetto di prestazione lavorativa. Ne deriva che anche in sede processuale le immagini così registrate potranno essere utilizzate ai fini della decisione del giudice. Conclude infatti la cassazione: “gli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori implicano l’accordo sindacale a fini di riservatezza dei lavoratori nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma non implicano il divieto dei cd. Controlli difensivi del patrimonio aziendale da azioni delittuose da chiunque provenienti. Pertanto in tal caso non si ravvisa inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 c.p.p. di prove di reato acquisite mediante riprese filmate, ancorchè sia perciò imputato un lavoratore subordinato”.

ALLEGATI

 
pagine tot foto